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Manoscritto dei Nati I, (1618-1685), f.239r-241rAlla metà del 1600 don Bernardino Aimetti (Priore di Ganna dal 1631 al 1669) ritrovò, in un antico libro della Confraternita del SS.Sacramento e della Dottrina Cristiana, un foglio in cattive condizioni nel quale era raccontato il martirio di S.Gemolo. Trascrisse, con la propria prosa, i contenuti di quel documento. Quel foglio, ora perduto, era lo stesso che avevano consultato S.Carlo nel 1574 e il Cardinale Federico Borromeo nel 1612. Proprio in base a quello 'scartapatio male formato' il Cardinale Federico aveva tratto la convinzione (poi risultata errata) che gli episodi narrati fossero riferiti all'anno 1047. Attualmente gli storici concordano nel ritenere che la redazione di quel manoscritto sia antecedente a quella di Goffredo da Bussero. Pertanto, sebbene scritto secondo i canoni del '600, si considera questa come la fonte più antica riguardo agli episodi del Martirio di San Gemolo. |
ImmaginiIl volto di Cristo Re, frammento di affresco collocato nella navata destra della Badia, parte di un'opera realizzata tra il 1325 e 1350 |
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Quodam igitur tempore non multum praeterito quidam Episcopus de ultramontanis partibus, causa visitandi limina beatorum apostolorum Petri et Pauli, nec non maiestates domini Papae, eundi Romam iter arripuit. Contingit illo Lombardiae ingressu, ut in diocesi Mediolanensi in quibusdam pratis in Ualle, quae dicitur Marchiroli cum suo equitatu hospitaretur. Cumque ipse metu latronum, abundantia quorum erat in iis partibus, esse territus, praecepit Nepoti suo, inclito Gemulo, ut super rebus suis sollicite custodiam gereret et insidias Latronum precaueret. Quod praeceptum B.Gemulus libenter obediens ipsius pro uiribus executioni mandauit. Prima vero nocte accidit, ut tres latrones pessimi ad Episcopi iam dicti uenientes tabernacula, palafrenum eius, et alia forte supellectiles exinde ablatas ad proprias latebras redeundo secum deducerent. Quod factum ut agnouit B.Gemulus cun alio milite socius itineris, equis ascendentibus insecuti sunt eo, et apud fontem, qui modo propter sanguinem S.Gemuli in eo decurrentem sacer appellatur eos inuenientes taliter eos blando sermone S.Gemulus alloquitur: per Dei inquit amorem et sanctorum apostolorum Petri et Pauli, in quorum servitio iter cum Domino Episcopo gerimus uos carissimos frates, exoro, ut domini Episcopi palafrenum et alia mihi reddere debeatis. Latrones autem sic fertur, et uerum est, fuere dei illis, qui cognomine dicontur de Uboldo, quorum unus Rubeus nomine et prae ceteris uesanior B.Gemulo respondit dicens: uis ne tu, qui sic nos adiuras martirium pro Dei amore per capitis abstcissionem sustinere? Quo audito sanctus Gemulus affectu beniuolo, et ore non pigro salutiferum sibi taliter responsum dedit pro Dei inquit, amorem et SS. apostolorum Petri et Pauli libentissime perfero, quicquid in passione mihi in quolibet modo inferri poterit. Suauissimus eius eloquium malitiam latronum non coegit quod corde conceperat, opere perficere non exoruit, et caput S.Gemuli sanctissimo latro nefandissimus amputavit. Alii quoque latrones praefato eius Socio mortalia uulnera intulerunt cuius in pace corpus eius requiescit non longe a Burgo Varisii in sarcofago apud S.Michaelis ecclesia. ... Igitur ut narrationis nostrae serie redeamus, quantum S.Gemuli mors in cospectu Dei secundum prophetae uaticinium fuerit pretiosa, ex sequentibus miraculis claurit. Nempe caesa cervice gladio, sicut diximus, sanctum caput eius brachia exceperunt et sanctum corpus in equum tamquam uiuum contra naturam se sustinens ad domini praeceptoris sui Episcopi presentiam remeare non distuli.
Videamus itaque quantam superne dispositionis consonantiam. Nam legitur de Beatis Martiribus Dalmatio et Donnino quiddam simile quod trans flumina in quorum litore decollati fuerunt santa sua capita detulerunt. Noluit itaque Deus Onnipotens tantam Martiris suis Gemuli lucernam sub modio latere. Sed super miracolorum candelabrum omnibus fidelibus proposita fecit brachiis corporis excipi santum caput et equo eius qui est irrationabile animal proprio ufficio diuinum est executs, sicut homo rationis capax, omnisque bestialis ignorantia ab eo esse propulsata ad locum ubi monasterium huius Sancti Martiris est constructum festinanter diuina dispositione pergere cepit. Ex predicto itaque rumore Episcopus expergefactus cum suo equitatu iter arripiens prodit obuiam Beatissimi juuenis Martiris corpori, sed milites et seruientes, ut uidere cum Episcopo ualde lacrimandum illum de equo deponere volentes nec equum tenere, nec eum de equo deducere potuerunt; sed equum cum corpore Sancti Gemuli quod ferebat commitantes ex diuina quadam inspiratione ad fluuim in ualle de Ganna et dictum riuum uersum perueniens ipsum transiuit et iuxta montem Donegum ultra alueum predictum in quodam paruo colle ambulans terminum statuit, et aliis sequentibus sponte cepit detineri. In hoc itaque facto nobis sua bonitate Deus ostendit quod tanto Martiri obsequia a rationali, idest ab homine exibita sibi fore gratissima, et meritis ipsius Sancti Gemuli ab eo remuneranda. Enimuero milites sacratissimum eius corpus de equo deponere uolentes nullatenus potuerant. ut quantum superne Dei curiae carus existeret proinde omnibus innotesceret quod nonnisi a sacriori qui illis in partibus habere poterat, idest Episcopo non est passa celestis prouidentia tanti martiris corpus habere seruitutem. |
In un tempo non molto lontano un Vescovo delle terre Oltremontane intraprese un viaggio per recarsi a Roma per visitare le tombe dei beati apostoli Pietro e Paolo e, non ultimo, il Sommo Pontefice. Fece ingresso in Lombardia e fu ospitato, con il suo seguito a cavallo, nella diocesi di Milano nei prati della Val Marchirolo. Avendo un gran timore dei ladri, che abbondavano in quella zona, diede ordine al proprio nipote, il famoso Gemolo, di vigilare con attenzione sui suoi beni e di prevenire le insidie dei ladri. Obbedendo volentieri a questo comando il Beato Gemolo se ne fece carico lui stesso invece di affidarlo agli uomini di scorta. Venne dunque la prima notte quand’ecco che tre dei peggiori ladri, avvicinatisi alla tenda del Vescovo, ne rubarono il cavallo e numerosi oggetti scappando poi verso il loro nascondiglio. Come si accorse di questo fatto il beato Gemolo, con un compagno, montò a cavallo e li inseguì trovandoli nei pressi di una fonte che in seguito sarà chiamata sacra a motivo del sangue di S. Gemolo lì sparso; a quel punto Gemolo rivolse loro un discorso pacifico: Per amore di Dio e dei santi apostoli Pietro e Paolo al cui servizio sono in viaggio col mio signore il Vescovo, vi prego, fratelli carissimi, di restituirmi il cavallo e tutti gli altri beni del Vescovo. I ladri, si dice, ed è vero, erano di Uboldo come si intuiva dai cognomi; uno di loro, detto il Rosso, che era il più violento rispose al Beato Gemolo dicendo: Sei dunque pronto a giurare di accettare il martirio tramite decapitazione per amore di Dio? Ascoltate queste parole il Santo Gemolo, mosso da amore, diede immediatamente la risposta che gli avrebbe dato la salvezza. Per amore di Dio, disse, e dei santi apostoli Pietro e Paolo accetto volentieri e del tutto qualsiasi cosa in qualunque modo mi vogliate infliggere. Il suo mite discorso non cambiò i loro propositi e non impedì gli atti che avevano in mente di compiere. Così il perfido ladrone tagliò il santissimo capo di S.Gemolo. Nel frattempo i compari del Rosso inflissero ferite mortali al compagno di Gemolo il corpo del quale riposa in pace in un sarcofago nella chiesa di San Michele nella non lontana città di Varese. ….. Riprendiamo dunque la nostra narrazione così che si chiarisca attraverso i seguenti miracoli quanto, secondo le profezie, sia stata preziosa agli occhi di Dio la morte di S. Gemolo. Una volta che, come detto, gli fu tagliata la testa con la spada, le sue braccia raccolsero la santa testa e il santo corpo, contro ogni legge naturale, rimontò a cavallo e, reggendosi come un vivo, ritornò alla presenza del signore suo il Vescovo. Ci sembra in questo di riscontrare una straordinaria consonanza alle disposizioni celesti. Leggiamo, infatti, una cosa simile anche riguardo i Beati Martiri Dalmazio e Donnino i quali, dopo essere stati decollati, trasportarono oltre un fiume le proprie sante teste. Infatti Dio non volle tenere sotto il moggio la lucerna del suo martire Gemolo, ma pose, per tutti i fedeli, i suoi disegni sul candelabro dei miracoli e fece raccogliere il santo capo dalle braccia del corpo. E anche il cavallo, che è un essere irrazionale, si comportò secondo il volere divino come un uomo capace di ragione e, tolta ogni bestiale ignoranza, prese a dirigersi verso il luogo dove il monastero del santo martire sarebbe stato costruito in obbedienza alle disposizioni divine. Svegliati da questo trambusto il Vescovo e il suo seguito corsero incontro al corpo del Beatissimo giovane Martire e, mentre il Vescovo lo piangeva, i servi e i soldati cercavano di trattenere il cavallo e di deporlo ma non riuscivano né ad arrestare il cavallo né a smontare di sella il corpo; il cavallo infatti, con ancora il corpo di San Gemolo, come obbedendo ad una divina ispirazione si diresse verso il fiume della valle di Ganna e, attraversatolo raggiunse una piccola altura vicina alle pendici del monte Denego (Mondonico) dove finalmente si fermò e spontaneamente si fece catturare dagli inseguitori. In questo dunque Dio ci manifesta la sua bontà, nel fatto cioè che l'obbedienza, all'apparenza irragionevole, di un simile martire è a Lui talmente gradita che, se imitata, verrà da Dio ampiamente ricompensata per i meriti di S.Gemolo. E siccome i soldati, pur provandoci, non riuscivano a trarre il suo corpo da cavallo, ancora una volta fu chiaro a tutti quanto la suprema volontà di Dio aveva disposto e cioè che solo il Vescovo, la persona più sacra tra tutte quelle presenti, e nessun altro potesse aver cura del corpo di un tale martire.
Traduzione a cura di Franco Molon
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